CULTURA,  RELIGIONE,  STORIA

La religione proibita, la storia dei Kakure Kirishitan.

Il primo incontro fra il Giappone e il Cristianesimo fu nel 1549, quando un gruppo di Gesuiti portoghesi guidati da Francisco Xavier (1506-1542) arrivò a Kagoshima dopo aver passato molti anni a predicare in India, Cina e Sud-Est Asiatico. Il Portogallo in quel periodo aveva intrapreso delle campagne di diffusione del Cattolicesimo in tutta l’Asia con lo scopo di accrescere quanto più possibile il numero di fedeli, in quanto i Cattolici in Europa stavano drasticamente scomparendo per via delle nuove religioni protestanti. Per poter predicare al meglio in Giappone, Xavier si avvalse dell’aiuto di Yajirōヤジロウ, un uomo di Kagoashima che aveva incontrato durante il suo soggiorno a Malacca. Oltre a essere il primo giapponese a ricevere il battesimo, Yajirō aveva anche una certa conoscenza della lingua portoghese, perciò assistette Xavier a tradurre i suoi insegnamenti. Yajirō si ritrovò così costretto a dover usare numerosi termini  e concetti presi in prestito dal Buddhismo e parole quali “Cristo” e “ Paradiso” diventarono quindi “Dainichi” e “Terra Pura”, situazione che causò inevitabilmente numerosi problemi di comunicazione. Nel momento in cui Xavier realizzò che stava predicando una nuova forma di Buddhismo invece del Cattolicesimo decise di abbandonare la sua missione giapponese, dopo solo due anni di operato. 
Trent’ani più tardi, furono il Gesuita italiano Alessandro Valignano (1539-1606) e i suoi compagni missionari a portare avanti il lavoro iniziato da Xavier. Per Valignano, il successo della sua missione dipendeva dall’adattamento alla cultura del posto piuttosto che dall’imposizione della propria; per questo motivo richiese ai suoi missionari di imparare il giapponese e di vivere seguendo gli usi e costumi dei locali. Nel 1581, Valignano scrisse il “Cerimoniale per i missionari del Giappone”, un dettagliato manuale per tutti i Gesuiti che decidevano di diffondere il Cattolicesimo in Giappone.
La diffusione del Cristianesimo in Giappone incontrò la sua prima battuta d’arresto nel 1587, quando Toyotomi Hideyoshi 豊臣秀吉 (1537-1598) il più alto dei daimyō in carica, ne proibì la predicazione; Toyotomi si era infatti accorto di quanto gli stranieri con la loro religione stessero avendo un’influenza che andava ben oltre il commercio, decise perciò di correre ai ripari. In quello stesso anno, inoltre, condannò a morte ventisei Cristiani, inclusi alcuni giapponesi convertiti, rendendo inequivocabile la sua posizione riguardo le missioni cattoliche in Giappone. La pena da lui scelta fu quella della crocefissione, questo perché stabilì che i condannati dovevano morire “come era morto il loro Signore”. Il fatto è ancora conosciuto come il martirio dei ventisei Santi giapponesi. Da quel momento in poi il Cristianesimo divenne ufficialmente fuorilegge e il bakufu iniziò a espellere tutte le comunità spagnole e portoghesi dal Giappone, con l’intenzione di negoziare esclusivamente con Inghilterra e Olanda, stati che non avevano nessun interesse religioso all’interno del Paese. Col fine di bandire definitivamente il Cristianesimo, le autorità giapponesi applicavano metodi di tortura sempre più drastici e crudeli su chiunque non rinnegasse la nuova fede cristiana. Il bakufu ottenne però un effetto contrario per cui più la tortura era straziante, più i Crisitani giapponesi erano propensi a seguire il loro nuovo credo. Di conseguenza, il bakufu stabilì nuovi metodi di persecuzione il cui scopo era non solo generare una sofferenza etica e mentale piuttosto che fisica, ma anche quello di assicurarsi che l’accusato non tornasse indietro sui suoi passi. Fra le nuove pene, quella del fumie 踏み絵 fu particolarmente efficace. Tale tortura richiedeva al supposto cristiano di calpestare una miniatura in ferro solitamente raffiguarante Cristo o la Madonna per dimostrare la sua apostasia e andava ripetuta circa ogni anno. L’accusato, inoltre, doveva anche firmare una dichiarazione di rinuncia alla fede cattolica e iscriversi al tempio o santuario più vicino a casa sua. La pena di morte era l’unica alternativa a questa pratica.
Icona fumie raffigurante Cristo in croce.
I cristiani che non volevano rinunciare alla loro fede iniziarono così a professare il loro credo in spazi sotteranei per non essere scoperti dalle autorità. La pratica ipogea durò per l’intera epoca Edo ma col passare dei secolì si trasformò lentamente in un culto religioso che differiva drasticamente dal Cattolicesimo. Subito dopo il divieto, infatti, i Kirishitan giapponesi si trovarono costretti a fare affidamento sul Buddhismo per poter evitare le persecuzioni. Tuttavia nel corso degli anni i precetti buddhisti diventarono parte integrante del loro credo, nonché un pilastro fondamentale. Ciò fu dovuto in parte al fatto che i Kirishitan non poterono più contare sull’insegnamento dei preti cattolici europei, perciò l’adattamento a una religione più “a portata di mano” fu inevitabile. Da tale contaminazione, nacque una religione che aveva numerosi punti comuni con il Buddhismo e ben poco a che fare con il Cristianesimo canonico. Anche l’oggetto di culto stesso dei Kirishitan non era Cristo, bensì una divinità femminile la cui natura altro non era che il perfetto connubio fra le due religioni. Conosciuta con il nome di “Maria Kannon”, questa iconica figura della religione Kirishitan rappresentava appieno la fusione fra la Madonna e il bodhisattva buddhista Kannon 観音. La ragione per cui queste due entità divine femminili diventarono un’unica dea nel corso del tempo è strettamente legata da una loro parziale similitudine.
Maria Kannon e il Bambino, artista sconosciuto, XVI-XVII secolo circa.
Nel Buddhismo giapponese, Kannon corrisponde al bodhisattva indiano Avalokitesvara, una compassionevole divinità maschile che, secondo i Sutra del Fiore e del Loto, poteva addirittura avere ben trentatre manifestazioni. È proprio per questo che in Cina e in Giappone Avalokitesvara divenne una materna e amorevole divinità femminile. Non si può quindi escludere che i Kirishitan vedessero nella Vergine Maria niente meno che una delle tante rappresentazioni della dea Kannon. Tuttavia il nome “Maria Kannon” non venne scelto dai Kirishitan durante il loro periodo di segregazione, ma fu piuttosto un termine applicato successivamente. Durante le loro pratiche sotterranee, le comunità Kirishitan appendevano solitamente un rotolo raffigurante Maria Kannon con il suo bambino nei loro luoghi di culto. Altre volte, una statuetta in finissima porcellana bianca di Maria Kannon seduta con un vivace bambino sul suo grembo veniva posta sull’altare durante le celebrazioni. Le ceramiche di Maria Kannon venivano spesso importate dalla Cina, dove una simile fusione fra Buddhismo e Cristianesimo era già avvenuta decenni prima. In ogni caso, il Bambino veniva spesso rimosso dai rotoli dipinti, mentre nelle ceramiche la testa veniva rimossa per non essere riconosciuto.
statuette Maria Kannon
Scultura contemporanea in ceramica di Maria Kannon con il Bambino.
Il motivo per cui Maria Kannon divenne il massimo oggetto di culto nella religione Kirishitan è profondamente connessa con la tortura del fumie. Quando un Kirishitan si trovava costretto a rinnegare pubblicamente la sua fede, le sue preghiere venivano immediatamente rivolte alla compassione e alla pietà della Vergine Maria piuttosto che a Gesù, in quanto questo veniva considerato come una figura più severa e intransigente. Ciò spiega anche perché Gesù occupasse un ruolo secondario nella gerarchia divina dei Kirishitan.
Se l’iconografia di Kannon venne scelta per incarnare la versione Kirishitan della Vergine Maria, furono invece i mandala a essere adattati come rappresentazione pittorica della pratica del rosario. A ricoprire un ruolo di rilievo in questo contesto fu sicuramente il dipinto noto come “I quindici misteri del rosario” o “I quindici misteri della Vergine Maria” 原田家本マリア十五玄義図, nonostante il periodo e l’artista di questa opera rimangano ancora oggi sconosciuti. Il dipinto ritrae i momenti principali della vita di Gesù e della Madonna, con al centro due immagini principali, raffiguranti Maria con Gesù bambino nella prima e Sant’Ignacio de Loyola e San Francisco Xavier nella seconda. La sua struttura però è estremamente simile a quella usata per la realizzazione del Taima Mandala当麻曼荼羅, un mandala dipinto nel 763 d.C. che rappresenta il  regno della Terra Pura del Buddha Amida.
I quindici misteri della Vergine Maria 原田家本マリア十五玄義図, tardo sedicesimo secolo, museo dell'Università di Kyōto.
Taima Mandala 2
Taima Mandala当麻曼荼羅, rotolo, inchiostro, colore e oro su seta, epoca Kamakura, MET Museum, NY.
Così come ne “i quindici misteri del rosario”, il Mandala è diviso in varie parti incentrate sui principali momenti della vita di Amida e altre figure fondamentali del Buddhismo Jōdo浄土. Inoltre, secondo un episodio avvenuto nel 1687, un ispettore inviato a Nagasaki長崎dal bakufu alla ricerca di ipotetiche comunità Kirishitan affermò di aver trovato una rappresentazione del Taima Mandala in una casa Kirishitan usata per nascondere un ulteriore dipinto dietro di esso. Per quanto l’ispettore non disse mai quale fosse il dipinto nascosto, è assai probabile che la famiglia Kirishitan avesse usato il Taima Mandala come simbolo a cui rivolgere le proprie preghiere, riconoscendone così la sua appartenenza. Oltre al Buddhismo, la religione Kirishitan incorporò sorprendentemente anche alcuni elementi della religione shintoista all’interno delle sue pratiche quali l’invocazione ai kamisama 神様nelle orazioni e gli esorcismi degli spiriti maligni sia per le persone che per posti e oggetti. Le comunità Kirishitan rimasero nascoste per circa tre secoli, subendo periodicamente delle incursioni da parte dello shōgunato durante tutta l’epoca Edo. La loro liberazione avvenne solo nel 1858, immediatamente dopo l’apertura del Paese, ma dovettero comunque aspettare fino al 1873 per vedere la revocazione ufficiale delle leggi anti Kirishitan. Da quel momento in poi, ordini religiosi di qualsiasi credo cristiano si unirono alle compagnie di mercanti nelle loro missioni in Giappone, con lo scopo di soccorrere e salvare i loro fratelli perseguitati. Sebbene molti Kirishitan decisero di seguire i nuovi insegnamenti cristiani provenienti da Europa e Stati Uniti, la maggior parte di loro presero una decisione diversa. Molti scelsero, infatti, di continuare il credo insegnato dai loro antenati duranti i tempi della pratica sotterranea, affermando che la loro religione non aveva ormai più niente a che vedere con il Cristianesimo. Queste comunità presero così il nome di Kakure Kirishitan 隠れキリシタン, Cristiani Nascosti, in onore della loro tradizione ipogea. Attualmente, la religione Kakure Kirishitan conta qualche migliaio di fedeli sparsi fra Nagasaki, le isole Gotō e alcune aree dell’isola del Kyūshū, ma i loro numeri si stanno drasticamente riducendo sempre di più. Molte comunità stanno scomparendo in maniera definitiva e i pochi membri rimasti che vogliono continuare un percorso religioso si ritrovano spesso a dover scegliere se unirsi alle comunità del tempio locale o far parte della chiesa più vicina. Non c’è certo da stupirsi se molti di loro optano spesso per il tempio piuttosto che per la chiesa.

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